Iniziato il processo contro Takashi Kuwabara, rovinafamiglie per professione

Cuore spezzato

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E’ iniziato in questi giorni a Tokyo il processo contro Takashi Kuwabara, un rovinafamiglie per professione, che era stato assunto da un marito per avere una relazione con la moglie. Solo che Kuwabara si è innamorato della donna e, colto da un raptus, quando la donna ha minacciato di lasciarlo, l’ha strangolata. Ora l’uomo rischia 17 anni di carcere. La vicenda ha avuto inizio nel 2007, quando Kuwabara è stato assunto da un marito giapponese per incastrare la moglie, Rie Isohata. Compito di Kuwabara era quello di avvicinare la donna, conquistarla, portarla a letto e fotografarla nel momento del tradimento. In questo modo l’uomo tradito avrebbe potuto ottenere facilmente il divorzio. Ma qualcosa non è andato come al solito nel lavoro di Kuwabara, che si è innamorato della donna. I due hanno continuato la relazione per parecchio tempo, finché, lo scorso mese di aprile, la donna ha scoperto la verità ed ha detto all’amante di volerlo lasciare. Ma Kuwabara non ha accettato di essere lasciato ed ha ucciso la donna, strangolandola con un elastico. Con l’inizio del processo, la stampa giapponese sta dedicando molta attenzione alla professione del “rovinafamiglie”, il wakaresaseya in giapponese. Kuwabara, che dopo l’omicidio si è subito costituito, ha dichiarato alla Corte: “All’inizio pensavo che fosse solo lavoro. Ma presto mi sono innamorato di lei. Ho raccontato bugie su bugie per il timore di perderla. A un certo punto mi sono trovato in un angolo. Ancora adesso l’amo”. Il padre della donna uccisa ha dichiarato: “Per il resto della mia vita, non perdonerò né lui né l’ex marito di mia figlia che lo ha ingaggiato. Odio il mestiere del wakaresaseya. Non solo ha distrutto la vita di mia figlia, ma anche la mia e quella di mia nipote”. Ora i media del Giappone si interrogano se sia corretto svolgere questo tipo di professione, che non si occupa solo di distruggere i matrimoni, ma che aiuta anche le aziende a liberarsi dei dipendenti scomodi o troppo anziani.



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